Padre Lino aveva un temperamento da tribuno. Era istintivo: non parlava, agiva. Al popolo parmense, magnanimo e sanguigno, generoso e feroce, questo frate che sembrava fatto più per la mischia che per il convento doveva piacere. E piacque. La gente di Parma, difatti amò profondamente Padre Lino e in certi tragici momenti obbedì solo alle sue parole.
Nel 1907 una serie di sommosse e di agitazioni anticlericali infiammava la città di Parma, attanagliata dalla morsa della miseria e della disoccupazione della classe popolare. Padre Fedele Prati, Francescano dell’Annunziata, ricorda:“Noi frati eravamo in chiesa quando udimmo venire dall’esterno grida minacciose: volevano bruciare la chiesa. Con noi vi era anche Padre Lino. Era raccolto in preghiera davanti all’altare. Ad un certo punto si avvicinò a noi e ci interrogò con lo sguardo. Poi, senza parlare, si avviò verso il portone della chiesa; l’aprì, uscì e lo richiuse dietro le spalle. Io mi avvicinai e tesi l’orecchio. Udii che diceva: “Perché volete bruciare la mia chiesa? E’ la casa del Signore! Bruciate piuttosto me!”. Ci fu un istante di silenzio, poi una voce gridò: “E’ la chiesa di Padre Lino, non bisogna toccarla!” e la folla si allontanò”.
“Davanti all’umile fraticello – sono le parole di Giorgio La Pira – piegarono la fronte anarchici e rivoluzionari, affascinati dalla sua bontà”.